LA PICCOLA DELIZIOSA LENTICCHIA!

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lenticchia

Francesco Galiffa*

lenticchia

Chi scrive è figlio del Secondo Dopoguerra e ha trascorso in campagna la sua infanzia. Conserva un nitido e, per qualche verso, nostalgico ricordo di quel periodo della sua vita, durante il quale ha metabolizzato il valore di una civiltà ormai scomparsa e i sapori di una cucina realizzata con materie prime semplici e genuine, tra le quali spiccavano i legumi. Gli è stato raccontato che in tenera età la nonna Emilia gli fece mangiare dei fagioli. L’incontro ravvicinato con quest’alimento, da ritenersi sicuramente pericoloso assunto così precocemente, deve avergli trasmesso l’amore verso i legumi in genere, che costituiscono ancora oggi, in purezza o mescolati a verdure o cereali, i suoi piatti preferiti; li consuma almeno 3/4 volte nell’arco della settimana.

Di là di quest’aneddoto personale, è indiscutibile che, fino a mezzo secolo fa, i legumi rappresentassero, insieme ai cereali e alle verdure, la base alimentare per bambini, adulti e vecchi. Essi erano definiti, infatti, la “carne dei poveri” per il contributo di proteine che fornivano all’organismo umano; giova ricordare che fino agli anni cinquanta del secolo scorso l’unica carne disponibile sul desco dei contadini era quella del maiale e, più raramente, di qualche animale da cortile, sacrificato esclusivamente in occasione delle feste “ricordative”.

Per una bizzarra legge del destino, questo regime alimentare, che una volta era seguito per necessità oggettive dettate dalla povertà, oggi è considerato dai dietologi un esempio di sana alimentazione ed è conosciuto in tutto il mondo col nome di Dieta Mediterranea.

Questa premessa serve per anticipare al lettore l’intenzione di dedicare alcune puntate di questa rubrica ai piatti che vedono come protagonisti i legumi, preparati secondo le ricette tramandate dalle donne della Val Vibrata e delle aree limitrofe.

 In primo legume a essere preso in considerazione è la lenticchia (Lens culinaris), le cui origini sono antichissime e il cui valore nell’alimentazione è testimoniato da un famoso baratto, ricordato nella Bibbia: un affamato Esaù, figlio di Isacco e Rebecca, rinunciò al diritto di primogenitura in favore del fratello gemello Giacobbe per un piatto di questi piccoli, gustosissimi e variopinti semi appena cotti e ancora fumanti.

Per alcuni storici, la lenticchia sarebbe stato il primo legume ad essere coltivato. Sembra, infatti, che, in base allo studio di alcuni reperti fossili, fosse seminata già nel 7000 a.C. nell’Asia Sud-Occidentale, in aree corrispondenti all’odierna Siria Settentrionale, da dove si diffuse presto in tutto il bacino del Mediterraneo, divenendo, in virtù del suo potere nutritivo ed energetico, uno dei cibi di base delle plebi della Grecia e di Roma. Presso quest’ultima, Catone dettò alcune norme per cucinarle nel modo migliore e Apicio nel Libro V (Capitolo II) del De re coquinaria riporta due ricette per prepararle; in una prevede anche l’impiego di funghi. Galeno, celebre medico vissuto a Roma a cavallo tra il II e III secolo d.C., pose l’accento sulle sue virtù terapeutiche. Nel Medioevo e, in particolar modo, nei periodi di forti carestie, quando il cibo scarseggiava, questo piatto sostituiva facilmente un pasto completo, giacché era in grado di fornire proteine, sali minerali e vitamine, qualità che contribuivano a migliorare anche le condizioni di salute e, quindi, la resistenza alle malattie. Presso i Franchi erano considerate così importanti per l’alimentazione che la Legge Salica (VI sec.) prevedeva delle punizioni da infliggere a chi le rubava. Anche nei secoli successivi il nostro minuto legume continuò a essere apprezzato e consumato grazie al suo basso costo e alla facile reperibilità. Dalle nostre parti era apprezzato da esponenti di ogni ceto, come testimonia l’abate Berardo Quartapelle, nel libro I principii della vegetazione, pubblicato a Teramo nel 1801: «I granelli della lenticchia, che sono i più piccioli fra tutt’i legumi formano una buona nutritura per la gente di campagna, quando sono cotti coll’acqua e conditi coll’oglio. Ma quando in poca quantità sono cotti colla carne stufata riescono di buon gusto ad ogni ceto di persone.»

Nel mondo, oggi, si coltivano a lenticchia 3,2 milioni di ettari, con una produzione di 3 milioni di tonnellate; tale coltura è concentrata nelle aree svantaggiate a clima temperato e semiarido. In Italia se ne produce un modestissimo quantitativo, ricavato da appena 1.000 ettari di coltivazioni localizzate, soprattutto, in aree ristrette di altopiani, dove, però, le condizioni di clima e di suolo conferiscono altissimo pregio qualitativo al prodotto, sia per sapore che per facilità di cottura. Nonostante la produzione limitata, sul territorio nazionale si contano, comunque, molte varietà di questo legume dai molteplici colori e dalle dimensioni ridotte (da 2 a 8 mm), che presentano caratteristiche così peculiari da meritarsi il riconoscimento di “Indicazione geografica protetta” o di “Denominazione di origine protetta”, come quelle di Castelluccio di Norcia, o di “Prodotto agroalimentare tradizionale”, come le altre di Colfiorito, Santo Stefano di Sessanio , Ustica, Onano, Altamura, Villalba, Ventotene, Rascino e Valle Agricola.

Nella letteratura specifica sono riportate numerose ricette di zuppe e minestre a base di lenticchie, ma le massaie oggi le servono prevalentemente sotto forma di passato e, soprattutto, come contorno dello zampone, del cotechino e di altri robusti insaccati, con i quali, peraltro, si sposano bene perché forniscono fibra, amidi e un surplus energetico-proteico. La loro composizione in principi energetici le fa consigliare a chi ha il colesterolo alto, ma le vieta assolutamente agli iperuricemici, per la presenza di purine.

Tutti sanno, infine, che il consumo di un piatto di lenticchie assume un significato propiziatorio durante il cenone di San Silvestro. Questo rito trae origine dall’antica usanza di regalare, a fine anno, una scarsella (la tipica borsa per conservare monete e dobloni) colma di lenticchie. L’augurio era che ciascun chicco si trasformasse in un doblone, rendendo così ricco e fortunato il destinatario del dono. Le lenticchie erano preferite a tutti gli altri legumi per la loro forma appiattita e tondeggiante che ricordava le monete e perché, essendo di piccole dimensioni, a parità di volume, erano in numero maggiore!

 Tra le varie ricette per cucinare le lenticchie vogliamo proporvene una appartenente alla tradizione  contadina della Val Vibrata, tratta dal libro Acqua&Farina, Istituto Comprensivo di Colonnella, Grafiche Martintype, 2004. Si tratta di un piatto unico, una zuppa “arricchita” con un ingrediente meno nobile dello zampone, una fetta di pancetta tesa, di cui la massaia poteva disporre per un lungo periodo dell’anno, avendola conservata col metodo della salatura.

Le linticchie ‘nghe li sgrisci

Ingredienti per 6 persone: 500 g di lenticchie; 100 g di pancetta; 2 spicchi d’aglio; 1 pezzettino di cipolla; 1 bicchiere di pomodoro; 1 costa di sedano; 2 carote ; olio d’oliva q.b.; sale q.b.

 

Procedimento

Scegliere accuratamente le lenticchie e, se si ritiene necessario, metterle in ammollo per qualche ora. Versarle, poi, in una pentola contenente acqua fredda insieme agli spicchi d’aglio interi, alle carote e al sedano, tagliati a cubetti; salare e lasciar cuocere a fiamma bassa.

Nel frattempo pulire e tritare la cipolla, sgrassare la pancetta e farla a dadini; versare tutto in una padella insieme ad un goccio d’olio d’oliva; far rosolare un po’ e aggiungere il pomodoro conservato a bagnomaria (in estate quello fresco tagliato a pezzetti); salare e lasciare ritirare per 10 minuti circa.

Unire il condimento alle lenticchie appena cotte e scolate dell’acqua eccedente.

Accompagnare con fette di pane casereccio, meglio se abbrustolite.

 

 

* La foto del piatto è stata scattata da Alberto Camplese.

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