IL MIO MONDO IN UN DISEGNO

A cura di Valeria Conocchioli
Conosciamo meglio Giulia Veramonti, giovane artista di Civitella del Tronto con l’innata passione per il disegno.
Ciao Giulia. Parlaci di come è nata la tua passione.
Disegno all’ incirca da quando ho 4 anni. Non sapevo ancora scrivere, ma già desideravo riprodurre la realtà o la fantasia su tonnellate di fogli bianchi! Con gli anni ho acquisito la manualità per realizzare quello che volevo, come volevo, senza mai seguire corsi o scuole specialistiche.
Parliamo dei tuoi studi scientifici. Riesci a conciliarli bene con l’arte, pensi che non siano in contrapposizione?
Già, ho addirittura intrapreso studi scientifici, dedicandomi alla Chimica! Ma non parlerei di ‘conciliazione’, per me Arte e Scienza non sono in contrapposizione; per citare Newton e la filosofia orientale dello ‘Yin e Yang’ (che in questo sono uguali, imparziali), Arte e Scienza sono due entità ‘uguali e contrarie’, l’una genera l’altra e si completano a vicenda: il lato razionale e quello emozionale sono definibili grazie al concetto opposto, come ‘Eros e Thanatos’. Per me rappresentano il fascino della diversità, dell’ambivalenza, del relativismo. Basti pensare a come Leonardo Da Vinci incarnasse così naturalmente sia la figura dell’artista che quella dello scienziato.
Quali sono i soggetti delle opere e le tematiche che rappresenti più volentieri?
Soggetti e tematiche delle mie opere, come è facile intuire, si sono evoluti negli anni. Da bambina si hanno dei gusti che col tempo cambiano. In adolescenza ho cominciato ad avere delle preferenze spiccate per personaggi gotici/dark e creature mostruose, come draghi o grifoni. E recentemente ho abbracciato uno stile più feticista e ragionato al tempo stesso. Sono profondamente affascinata dalla figura della ‘femme fatale’, la donna letale, superba, intelligente, piena di qualità e quasi malefica nella seduzione. Inoltre amo i dettagli, quelli leziosi e manieristici… magari una donna nuda con indosso solo un aggressivo paio di scarpe col tacco!
Che tecniche usi e che valore dai ai colori?
Sono partita dalla penna indelebile, senza nemmeno colorare. Poi ho cominciato ad utilizzare i pennarelli, per passare poi ai carboncini, monocromatici o colorati; e negli ultimi mesi, mi sono messa al passo coi tempi, cimentandomi piacevolmente con la tavola grafica e il disegno digitale. Il mio sogno resta quello di apprendere la tecnica iconografica per eccellenza: la pittura; ma per questo avrò bisogno di lezioni probabilmente e spero di trovare tempo al più presto. Nel frattempo, non mi farò mancare il colore! Infatti, senza nulla togliere al classicismo del bianco e nero, io sono una fan sfegatata dei toni “psichedelici”. Amo i contrasti forti, specialmente tra colori complementari (come tra rosso e verde, azzurro ed arancio), sia per l’impatto visivo che per quello emotivo; trasmettono irruenza, virulenza, antitesi per tornare al discorso di Yin e Yang.
A quali modelli ti ispiri?
Credo di aver assimilato qualcosa da tutti gli artisti in cui mi sono imbattuta negli anni. Ma di certo provo particolare ammirazione per quelli che hanno dimostrato una venerazione particolare per la figura femminile, unita al gusto per un feticismo sottile. Gustav Klimt, Dante Gabriel Rossetti e Milo Manara (per citarne tre che stimo molto) sono quelli a cui spesso penso, mentre disegno. Osservando le splendide donne ritratte da questi artisti, mi sono appassionata all’ idea di ‘femmina letale’: una creatura sensuale, forte ed eclettica, talmente affascinante che l’uomo desidera di essere soggiogato. La bellezza dei loro soggetti è nello sguardo, uno sguardo severo, oltre che meraviglioso; perché severo? Perché non ci si dimentichi che dietro il corpo di una donna, spesso strumentalizzato, c’è la forza della dignità. Ciò che ne esce fuori è ancora una volta un concetto dicotomico, di derivazione greca, quello della ‘kalokagasia’ (bellezza e bontà), secondo cui la bellezza esteriore è immagine della moralità interiore. Non disegno una donna nuda pensando al calendario Pirelli, ma al rispetto che la sua bellezza suscita nello spettatore.
Ti piacerebbe trasformare questa passione in lavoro?
Attualmente cerco di darmi da fare con uno stage in Chimica all’ azienda farmaceutica Pfizer, ambiente che mi piace molto e in cui non mi dispiacerebbe restare; ma se la mia vita, all’ improvviso, dovesse svilupparsi con successo verso la direzione artistica sarei altrettanto entusiasta, con l’unica remora che, quando una passione diventa ‘lavoro’, perde un po’ quella ventata di libertà che provocava prima. Inoltre, nell’ eventualità che diventi una professione, dovrei anche imparare a superare quel maledetto complesso di Pigmalione, che rende così difficile separarmi dalle mie “operette”!
Allora in bocca al lupo e speriamo che questa tua passione possa trasformarsi presto in qualcosa di più!