DALL’ENCOMIO DI MUSSOLINI ALL’ABRUZZO AI CAMPI DI INTERNAMENTO IN VAL VIBRATA

di Anna Di Donato

 

10 11 TERRITORIO art campi concentramentoIl primo discorso di Mussolini in Abruzzo venne pronunciato il 21 Agosto 1923 dalla terrazza del Kursaal di Castellammare Adriatico. Fulcro dell’arringa fu l’elogio alla regione di cui riportiamo di seguito la parte di rilievo: “Fra tutte le regioni d’Italia l’Abruzzo è all’avanguardia, perché in dieci mesi di Governo, è la regione che mi ha chiesto di meno e che ha lavorato di più; una volta io l’ho chiamato cuore vivo e pulsante della patria: fervida la passione, altissima la fede, infrangibile la vostra unità!”.

La promulgazione delle leggi razziali del ’38 iniziò, però, a far capitolare i plausi.

L’apice del dissenso venne raggiunta nel ‘40, quando, anche in Val Vibrata, distribuiti tra Nereto, Corropoli ,Civitella del Tronto, Tortoreto Alto e Stazione, nacquero i primi campi di concentramento per internati.

La scelta dell’Italia centro-meridionale per la collocazione di internati derivava dall’impervietà dei luoghi, la scarsa concentrazione abitativa e la poca politicizzazione degli abitanti. I più documentati sono i primi tre.

10 11 TERRITORIO Campi concentramentoIl primo nucleo di Nereto venne istituito nella Casa Santoni in via Vittorio Veneto e le durissime disposizioni prevedevano limitazioni di circolazione e divieto assoluto di avere relazioni con i cittadini.

Il detenuto ebreo, Arturo Avigdor, ricorda con profondo disprezzo ed amarezza quei giorni ma sottolinea la cordialità dei neretesi, “gente curiosa e rispettosa”, la definisce, forse anche per il fatto di non aver mai visto, tutti insieme, tanti dottori, ingegneri, avvocati, scrittori, commercianti, pittori e non solo.

Sappiamo, invece, che il Governo britannico inviava 400 lire mensili per i connazionali internati lì e viveri di ogni sorta giungevano settimanalmente dalla Croce Rossa Internazionale.

L’internato di cittadinanza inglese Iacob Habib, ricorda che il trattamento all’Ospizio di Civitella non era male e che, insieme agli internati del Santuario di Santa Maria dei Lumi, potevano uscire per il paese dalle 10 alle 20.

Quello di Civitella del Tronto rappresentò il terzo campo, in Italia, per ordine di capacità contenitiva, dopo Ferramonti Tarsia e Civitella della Chiana, con le due sedi sopracitate e l’ultima al n° 109 di corso Mazzini di proprietà della famiglia Migliorati.

Tra le circa 300 unità che compaiono nell’elenco conservato all’archivio comunale, 230 erano uomini e 62 le donne.

I sussidi provenivano anche dalla Svizzera e dalla Delasem, organizzazione di soccorso ebraica autorizzata dal governo fascista in quanto forniva sussidi di completamento a quelli statali.

Nel novembre del ’43 giunse l’ordine di arresto indiscriminato per tutti gli ebrei e lo status di internati si trasformò in quello di arrestati per la deportazione soprattutto ad Auschwitz e Bergen-Belsen. Fu questo il momento in cui le popolazioni ospitanti dimostrarono generosità e fratellanza nei confronti delle vittime, fornendo, fin dove possibile, nascondigli e strategie di fuga.

A differenza di Nereto e Civitella, in cui i confinati ebrei erano soprattutto tedeschi, libici britannici, apolidi e polacchi, il campo della Badìa di Corropoli, ospitava, oltre gli italiani antifascisti, soprattutto le minoranze etniche, tra cui: indiani, greci, jugoslavi comunisti ed irredentisti della Venezia Giulia. Maggiormente drastiche le limitazioni, soprattutto per la presenza degli irredentisti slavi, allora ritenuti più pericolosi degli israeliti.

Come rilevato dai dati esaminati dallo studioso Dario Zunica, autore di una tesi a riguardo, pochi furono gli internati che persero la vita nei campi della Val Vibrata; anzi, la scelta di collocarli in luoghi poco politicizzati ed impervi rappresentò la salvezza di centinaia di esseri umani, coadiuvati dalle popolazioni autoctone.

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