COLLANA CORALLOC’è un po’ di Abruzzo nella cesellatura del corallo e nella cultura popolare, come racconta l’orafo Rubini

Alfono Aloisi

Tito Rubini appartiene ad una famiglia di orafi presente con la propria attività a Nereto da diversi decenni. Parlando dell’arte orafa abruzzese, lo stesso Tito Rubini dedica molta attenzione alla lavorazione del corallo riservandole una serie di appunti di carattere storico e non solo. Il suo esordio è proprio incisivo: “Un capitolo a parte merita il corallo”. Ne traccia l’evoluzione che ci riguarda sottolineando che in Italia, tra il XIX e XX secolo, si erano affermate tre grandi aree di lavorazione del corallo. Le città cui faceva capo tale attività erano Livorno in Toscana, Torre del Greco in Campania e Giulianova in Abruzzo. In provincia di Teramo, a Giulianova, i fratelli Migliori avviarono un grosso e qualificato laboratorio destinato alla produzione di articoli artigianali in corallo di eccellente qualità. Famose le collane sfaccettate a mano denominate appunto “millefacce” per la particolare lavorazione che trasformava il corallo allo staro puro in un poliedro geometricamente perfetto. Tale tipo di lavorazione era praticata a Livorno già nel 1700. Tito Rubini ricorda che nella villa dei Migliori denominata “alla Montagnola”, ubicata nella parte alta della Città, esisteva nel salone delle feste una volta in mattoni con la scritta molto poetica: “Giù nel mare profondo, per mani operose, vai corallo del mondo a adornare le spose”. Ritornando al corallo non possiamo non ricordare che in Val Vibrata il rito della “collana rossa” era molto seguito. La futura suocera, cingendola al collo della prossima nuora, pronunciava la frase propiziatoria: “Ije te l’appenne, ije te l’allacce, a la fine  dell’anne nu fije maschie”. Altra colorita filastrocca viene dalla reminiscenza della famiglia Rubini (orafi dal 1850): “Nghe la cullane rosce e grosse te vasce cchiù che posse, nghe la cullane rosce e grosse te leve pure l’osse, nghe la cullane rosce e grosse te porte là la fosse”. I fratelli Migliori, come ricorda lo storico Pasquale Rasicci, erano discendenti di quell’Ernesto Migliori nato nella cittadina giuliese il 22 dicembre 1867 da Vincenzo e Maria Concetta Braga, sorella del violoncellista Gaetano.  Ernesto fu il primo ad approdare nel mondo del corallo. Da commerciante frequentava Livorno ed il suo attivissimo porto. Nella città toscana sposò una ragazza con cui iniziò a condividere la passione per il corallo. Di li a poco Ernesto Migliori divenne raffinato orafo, abile e ricercato intenditore nella lavorazione del prezioso materiale degli abissi. In brevissimo tempo, grazie anche all’aiuto dei fratelli più giovani, la sua azienda corallifera divenne una delle più rinomate. Alla fine del XIX secolo Ernesto Migliori frequentava con successo, grazie anche all’alta qualità della sua produzione, le piazze di Londra e Milano ed i relativi mercati. Ben presto il commercio del corallo di Giulianova si attestò su livelli molto interessanti tanto da condividere la supremazia nazionale con le più blasonate città di Livorno, Torre del Greco ed in parte Genova. Nei laboratori di viale dello Splendore, sede appunto della ditta Migliori, erano impiegati fino a 150 dipendenti e quasi tutte donne. La materia prima proveniva a Livorno dal Mar del Giappone. Il corallo rosso e rosa veniva largamente impiegato per la creazione di grosse e pesanti collane che, come già abbiamo sottolineato, nei tempi andati rappresentavano il più ambito ornamento per la sposa. I coralli del Giappone venivano utilizzati anche per creare eleganti orecchini, anelli, medaglioni e bracciali. La seconda guerra mondiale segnò la fine della lavorazione del corallo a Giulianova. Intensi rapporti commerciali FATTURA RUBINIintercorrevano a quei tempi tra gli orafi neretesi Tito e Raffaele Rubini, considerati dei veri e propri maestri d’arte nella provincia teramana, ed i fratelli Migliori. Ad un certo punto il corallo perse un po’ del suo interesse e così gli eredi Rubini (Peppino e Francesco detto Checchino) divennero i più grossi acquirenti e raccoglitori di collane di corallo della Val Vibrata. Attorno al corallo, nel XIX secolo, si affollavano anche credenze popolari che trovavano albergo soprattutto nella vanità femminile. Nel teramano fu lanciata un’apposita linea di tipici esemplari a “bottoncino” chiamati “lupine” per la forma lenticolare del corallo, come l’omonimo seme di legume. I monili tondeggianti erano molto diffusi e venivano indossati particolarmente dalle ragazzine nella convinzione che il corallo potesse preservarle dagli sguardi invidiosi e, quindi, dal cosiddetto “malocchio” o “fattura” che dir si voglia. A Nereto vennero realizzati dall’orafo Raffaele Rubini. In una teca del museo Liverino di Torre del Greco, a perenne testimonianza della considerazione incassata dall’azienda Migliori,  è custodita una parure composta da collana ed orecchini “Sardegna”, creata dalle sapienti mani degli incisori giuliesi. Grazie all’abilità di operaie ed operai ed alla qualità del corallo impiegato, per lo più il “Rosso Sardegna” ed il “Rosa Nipponico”, il valore dei monili creati a Giulianova eguaglia in breve tempo quello dei centri più blasonati, come Trapani, Livorno, Genova e Torre del Greco conquistando spazi ragguardevoli del mercato nazionale ed estero. Nei primi anni del 1940, a seguito del conflitto mondiale, il settore del corallo entra in crisi, ma giuliesi veraci come Antonio Belfiore, Bruto e Attilio Di Michele continuano per diversi anni a produrre bellissimi cammei, collane e rosari richiestissimi dalla clientela locale. L’arte dell’intaglio e dell’incisione di estrazione giuliese ha continuato a vivere nelle mani di nuove generazioni di corallari toscani. Sottolinea Tito Rubini: “Mi piacerebbe sviluppare un progetto tra Giulianova e Nereto  che riproponga la lavorazione e la commercializzazione del corallo tenendo presenti i fasti di quella “avventura del corallo” che nei primi anni del XX secolo creò nella nostra regione un polo di eccellenza straordinario”.

 CAMBIALE RUBINI (RECTO)CAMBIALE RUBINI (VERSO)

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