di Michele Narcisi

Alba Adriatica si staccò da Tortoreto nel 1956. I motivi raccontati da Mimì Dezi, storico operatore turistico lidense.

Per tanti cittadini vibratiani, molti dei mali attuali che affliggono Alba Adriatica e Tortoreto partono da lì, ossia dall’anno di grazia (o di disgrazia?) 1956, quando fu sancita una delle divisioni più dolorose, e per tanti versi dannose, di tutta la vallata vibratiana, e non solo. L’allora Tortoreto Stazione, dopo memorabili e non incruenti battaglie, riuscì infine a costituirsi in Comune autonomo, scegliendosi come nome Alba Adriatica (Spiaggia d’Argento). Tortoreto Paese, già allora abbastanza povero a livello di abitanti, mai e poi mai avrebbe accettato di rinunciare, o rimettere in gioco, la sede comunale e la sua centralità. A parlare di tutta la vicenda, dall’inizio fino agli sviluppi successivi è Domenico Dezi, per tutti Mimì, operatore turistico per una vita, e memoria storica di quanto è accaduto nei due centri negli ultimi 70 anni se non di più. Mimì rievoca le vicende passate con estrema lucidità, ad onta delle molte primavere che porta meravigliosamente bene sul groppone. Di quando andava a studiare in bicicletta a Giulianova o di quando fu arruolato (in Marina, anno 1943). Fu lui, sulla scia del papà Zio’, a creare insieme ad un paio di soci uno chalet punto di riferimenti dei villeggianti di mezzo mondo.

E, a proposito di mondo, allora era proprio un “altro mondo”: strade sterrate, spiagge in semi-abbandono, lampioni che sembravano piatti da cucina, vegetazione autoctona fatta di erbe e piccoli arbusti pungenti (chiamati “baciapiedi”, ma più che baci erano punture a volte anche un po’ dolorose). Domenico Dezi non fu solo un precursore nel campo del turismo, ma si batté anche per evitare la spaccatura tra Tortoreto Paese, Tortoreto Lido e Tortoreto Stazione (l’attuale Alba Adritaica). A distanza di tanti anni non riesce a darsi pace e non perdona, con mente lucida e cuore ancora appassionato, chi fece in modo di causare la secessione albense. Mimì si schierò con la lista “Barca a Vela”, il cui programma si basava, per l’appunto, sul mantenimento del Comune unito. La sede del nuovo municipio sarebbe sorta nell’attuale Villa Rosa, nella zona della Pinetina. La lista vinse contro l’altra in lizza, “La Tortora”, ma dopo varie vicende, non tutte, per dir così, “pulite”, fu sancita la divisione e indette nuove elezioni. Ma è d’obbligo, per inquadrare meglio i fatti, concatenandoli tra loro, fare un lungo passo indietro.

La questione campanilistica tra i centri che formavano un unico blocco deflagrò nel 1930 (in pieno Fascismo, con al potere, non a caso, il Podestà signor Ricci), con lo spostamento della sede municipale da Tortoreto Alto a Tortoreto Stazione. Motivata da ragioni di viabilità, di trasporto, di spostamenti più veloci essendoci, appunto, lo scalo ferroviario. Ma la sommossa più forte si ebbe quando fu deciso lo spostamento, dalla collina al mare, della caserma dei carabinieri. Molti tortoretani del paese alto furono rinchiusi nel carcere di Sant’Agostino a Teramo. Nel 1944, nel corso della ritirata dei tedeschi da Ortona, per ripararsi da eventuali bombardamenti, la sede del Comune da Tortoreto Stazione fu trasferita nella contrada Casa Santa (zona conosciuta come “Lu Caso’).

Ma, appena passato il fronte, gli abitanti del Paese, con un vero e proprio blitz, si riportarono a casa il Comune, nel vecchio palazzo municipale. Il Prefetto prese atto della situazione senza colpo ferire anche per evitare ulteriori sommosse. I fatti successivi li abbiamo già citati sia pure sommariamente: elezioni, vittoria della “Barca a Vela” risultata inutile e l’inevitabile divisione di due centri che non risultano divisi da un fiume o un torrente o una collina, ma da una piccola strada, angusta, scomoda, stretta, che, appunto, li separa. Dezi e tanti altri cittadini dell’una o dell’altra sponda, pardon: strada, non riescono però a rassegnarsi e premono con i sindaci che di volta in volta si avvicendano nei due Palazzi di città affinché si mettano d’accordo per riunire Alba Adriatica e Tortoreto. Un sogno che -si ha motivo di ritenere- rimarrà tale. Difficile se non impossibile, infatti, debellare i campanilismi frutto di arretratezza politica, sociale e, soprattutto, culturale.

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