IN FILA AL “SANTUARIO” DEL COLLOCAMENTO

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In provincia di Teramo cresce la disoccupazione, i Centri per l’impiego scoppiano, giù l’offerta anche nel turismo. E’ coma- lavoro

Marvin Angeloni

Lo tsunami della crisi economica internazionale si è infranta sull’Italia con un delay di qualche anno rispetto ai Paesi d’oltreoceano, e solo ora si avverte il suo ritirarsi, lasciando però dietro di sé le macerie e le evidenti colpe di una politica economica decennale assolutamente inadeguata. Un’ondata che si è prolungata più del previsto, con un annaspare continuo da parte delle istituzioni che trovano difficoltà nell’affrontare le emergenze di una disoccupazione crescente e di una perdita esponenziale del numero di industrie ed investimenti su tutti i settori. Più delle sensazioni, risultano prove inconfutabili i numeri che danno dimostrazione di dove l’onda si è infranta.

Il nostro territorio non è esente da questo maremoto ed i dati raccolti e le testimonianze da parte dei responsabili dei Centri per l’impiego confermano come il problema economico rischia di avere una deriva di esasperazione sociale.

La disoccupazione in provincia

CentroPerLImpiegoDalla provincia di Teramo ci arrivano i dati sul nostro territorio riguardante la disoccupazione delle due fasce d’età sensibili (fino ai 29 anni compresi e quelle oltre il ventinovesimo anno di età), nell’ambito del lavoro nel periodo 2011 – 2014, ovvero dall’inizio della crisi sulle banche e le imprese italiane. Tra il 2011 ed il 2014 il numero dei disoccupati è quasi raddoppiato per entrambe le fasce di età (8.424 unità per la fascia entro i 29anni, 15.298 unità per gli over 29) con un allarme maggiore per quanto riguarda le persone di età superiore ai 29 anni che vedono ancora più dei giovani le difficoltà non solo di mantenere il proprio tenore di vita, ma di sopravvivere e garantirsi quantomeno la propria dignità. In aggiunta va segnalato che i numeri sull’esercito di disoccupati sono “gonfiati” anche dalla crescente immigrazione sul territorio, anche se  gli stranieri, soprattutto provenienti dalla Repubblica cinese, difficilmente utilizzano le strutture istituzionali per la richiesta e somministrazione di lavoro. Inoltre le imprese che coinvolgono l’agricoltura e la pesca si dimostrano in uno stato di immobilità mentre il manifatturiero crolla insieme agli investimenti su sanità, scuola e fonti di energia.

Ferme al palo anche le attività turistiche che, perfino durante gli scorsi quattro mesi, hanno abbassato notevolmente le richieste di manodopera aggravando ulteriormente il numero di disoccupati che trovavano nella stagione estiva una boccata d’aria indispensabile.

Tutto questo è stato confermato dai responsabili dei Centri per l’Impiego, in particolare dal dott. Quarchioni, dell’ufficio di Giulianova e dalla dirigente provinciale del settore, Renata Durante, che sottolineano come gli sportelli lavoro siano oggi più che mai delle trincee per quella che rischia di diventare una guerra tra poveri.

I Centri per l’Impiego come “trincee”

Parafrasando le parole della dirigente Renata Durante e seguendo il discorso di Quarchioni, possiamo tranquillamente definire i Centri per l’Impiego come il territorio di confine e l’ultimo approdo dove le persone disorientate della crisi si recano sperando di avvistare da lì e per primi la “terra promessa” della ripresa.

La parola “trincea” non è affatto abusata in questo caso.

Quarchioni: Abbiamo certamente riscontrato un grande aumento di disoccupati nel periodo 2011-2014, dunque i numeri sono reali, e come dicevo, anche le attività stagionali hanno avuto un decremento di unità sia per la crisi che ovviamente per i problemi climatici che hanno afflitto la stagione.

La percezione da parte degli addetti ai lavori è sicuramente più genuina di semplici cifre o percentuali, anche perché è superficiale ridurre06150644_1812150107_vbig individui a numeri quando, in uno stato di crisi, il rischio maggiore dell’impoverimento è quello di una crescente esasperazione sociale. A questo punto le “trincee” danno ragione a questo pesante soprannome perché svolgono non soltanto il lavoro di consulenza e mediazione lavoro, ma diventano il “vomitorium” di quelle persone che giornalmente si presentano allo sportello.

“Prima alcune persone venivano ogni tanto e non con una frequenza abituale, ora invece mi capita di vederli quotidianamente e spesso le loro richieste sono lontane dalle nostre competenze ma sia per umanità che per professionalità cerchiamo di accontentarli – continua Quarchioni. Io ed i miei collaboratori sentiamo ora più che mai di avere anche e sopratutto una funzione sociale perché l’ansia è aumentata. L’utenza si è comunque mantenuta educata e con un atteggiamento costruttivo ma il fattore d’ansia data da una crisi prolungata che non sembra finire li ha segnati. Credo che il loro andirivieni sia appunto per segnalare quello che è non solo una questione economica ma un problema sociale.”

Oltre la trincea

Allargando il discorso sui segnali di ripresa, gli addetti ai lavori hanno notato una flebile luce alla fine del tunnel soprattutto nell’ultimo mese di settembre con un movimento positivo di richiesta di manodopera da parte di aziende del territorio. E’ però prematuro e fin troppo ottimistico dire che questo possa diventare un trend che permetta alla percentuale di disoccupati abruzzesi di scendere quantomeno ai livelli del 2010. D’altronde alcuni progetti di mediazione lavorativa sono stati abbandonati soprattutto per quanto riguarda la componente di stranieri in regola che affronta problematiche maggiori rispetto ad un qualsiasi italiano nel momento della ricerca di un impiego.

Per i giovani invece viene fatto troppo poco, con un progetto a finanziamento europeo chiamato GaranziaGiovani (tutte le informazioni sul sito www.garanziagiovani.gov.it) che intende recuperare quei ragazzi tra i 16 ed i 29 anni che non studiano, non lavorano e non hanno e fanno formazione alcuna attraverso un bonus occupazionale per le aziende che si offrono di assumerli passando per l’INPS.  L’incidenza non è però decisiva perché si tratta in ogni caso di una piccola parte di utenza demotivata che bisogna andare a prendere quasi a casa. E’ necessario ora più che mai un potenziamento delle strutture che affrontano sul campo il problema lavoro, quantomeno per riconoscergli quella plusvalenza sociale che contribuisce ad evitare derive pericolose.

TABELLA

 

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